Avrete spesso sentito parlare di “greenwashing”. Si tratta di una serie di comportamenti, messi in atto a un ente o da un’azienda, atti a testimoniare un impegno nell’ecologia, nella tutela dell’ambiente e nel risparmio energetico che in realtà non sono tali. Si tratta, in parole povere, di una specie di “copertura” per fare apparire ecologiche ed ecosostenibili realtà produttive o singoli prodotti che non lo sono. Sappiamo bene che il “green” è prima di tutto un impegno, che prevede il coinvolgimento e la messa in pratica di strategie di ottimizzazione delle risorse e minimizzazione delle sostanze inquinanti.
“Il greenwashing può essere caratterizzato dalla semplice omissione di pratiche non sostenibili da parte di un’azienda, da vere e proprie false dichiarazioni, che possono essere dovute anche a comunicazioni esagerate o a marketing gonfiato” (tratto da “Green Branding” di Luca Grandosi)
Le conseguenze del greenwashing sono dannose per la stessa azienda, perchè provocano un danno di immagine e la diffusione di una cattiva reputazione. Ma sono dannose soprattutto per l’ambiente e per il settore dell’economia green, perché drogano il mercato con prodotti spacciati per sostenibili, che in realtà non lo sono.
I consumatori devono fare, dunque, molta attenzione, anche nella scelta di prodotti che siano rispettosi dell’ambiente in modo reale, e la cui messa sul mercato implichi processi produttivi realmente ecologici.
Per chi volesse approfondire la tematica del greenwashing, consiglio la lettura di questo articolo. Un video riassuntivo si trova invece a questo link di Instagram, dove trovate molti altri video che ho preparato per la serie “Green Words”.
Per approfondire invece la tematica della comunicazione ecosostenibile, consiglio la lettura del libro sopra citato, “Green Branding”, di L. Garosi,
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